Sulla definizione di Leadership. Seconda puntata: il PD

Pubblicato il 29 Aprile 2012 alle 21:38 Autore: Gianluca Borrelli

Era il segretario del partito e, benchè avesse una visione di futuro (ancorché confusa) che era rappresentata dall’uscita dal comunismo e dalla creazione di un nuovo soggetto politico pronto per il nuovo millennio, non seppe affatto convincere e coinvolgere fette consistenti di elettorato estraneo al vecchio blocco sociale sul quale si appoggiava il PCI.
Di fatto questa “traversata” culminata con l’ultimo congresso della Bolognina altri non era che un restyling di facciata, o almeno, a torto o a ragione come tale fu percepita dagli elettori.
Illusero molto, come dicevamo, i successi alle amministrative, ma solo una visione politicamente miope poteva non capire che l’ambito di quel successo restava limitato e non esportabile alle elezioni politiche a causa di una diffidenza della “maggioranza silenziosa” verso la vecchia classe dirigente del PCI rea di aver fatto per troppo tempo “la scelta sbagliata” e il crollo del modello sovietico era una pistola fumante troppo grossa per essere ignorata. Come potevano guidare il paese se si erano sbagliati per decenni in maniera così plateale? Al di là della politica che avrebbero portato erano visti comunque come vecchi arnesi inadatti al ruolo.
Oltretutto sarebbe bastato guardare ai risultati elettorali del primo turno di quelle elezioni trionfali per la sinistra, e considerare che le elezioni politiche si sarebbero svolte in un turno solo, per capire che questa vittoria data per certa tanto certa non era, e questo errore marchiano dà anche la misura dell’inadeguatezza di quel gruppo dirigente.
Il risveglio con la pesante sconfitta del 27 marzo 1994 alle politiche, e la ancora più pesante sconfitta delle elezioni europee pochi mesi dopo, fu drammatico per il partito (allora PDS).

Occhetto fu costretto alle dimissioni da segretario e si scatenò per la prima volta la lotta per la leadership tra D’Alema e Veltroni, dove la spuntò il primo grazie ai voti del Consiglio Nazionale, benché il secondo apparisse in vantaggio nei sondaggi nelle sezioni del partito.

Per tornare, dopo questo escursus storico, al concetto di leadership, che è il tema di questa serie di puntate, Occhetto non era stato affatto un vero leader, non aveva il controllo del partito (memorabile una vignetta di Disegni che mostrava come D’Alema avesse venduto a sua insaputa Botteghe Oscure), aveva una idea confusa di dove dirigerlo e non aveva alcun appeal comunicativo o mediatico. Di tutta quella operazione da lui orchestrata alla Bolognina non restò che una scissione tra PDS e Rifondazione, e un banale cambio di nome senza vere novità in termini di contenuti (o almeno ben pochi elettori le percepirono come tali).

A Occhetto dicevamo successe D’Alema.

D’Alema dopo aver fregato Veltroni (come accennato in precedenza) organizzò la candidatura di Prodi, con una plateale investitura nel 1995, e l’alleanza con i Popolari, ma prima ancora era riuscito a tirare dalla sua la Lega definendola con una frase passata alla storia “costola della sinistra”. Facendo leva sulla loro paura derivata dal fatto che Berlusconi stesse cercando di vampirizzarne l’elettorato attraverso l’uso delle TV (la Lega resistette eccome a causa del carisma e della leadership di Bossi di cui abbiamo parlato nella scorsa puntata) D’Alema offrì alla Lega una sponda per detronizzare il Cavaliere e sostenere un Governo Tecnico.
Di concerto quindi anche coi Popolari sostennero insieme il governo Dini gettando le basi per il Governo Prodi, mentre la Lega se ne sarebbe stata felicemente all’opposizione con un bel carico di voti.

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L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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