Lavoro in nero e pensione: cosa si rischia in concreto e le sanzioni previste

Pubblicato il 12 Febbraio 2020 alle 15:38 Autore: Claudio Garau

Lavoro in nero e pensione: cosa rischia in concreto il pensionato che nasconde la sua attività al Fisco. Facciamo chiarezza.

Lavoro in nero e pensione cosa si rischia in concreto e le sanzioni previste
Lavoro in nero e pensione: cosa si rischia in concreto e le sanzioni previste

Chi è pensionato, frequentemente, decide di non smettere definitivamente di lavorare. A volte per sentirsi ancora utili, a volte perché l’ammontare della pensione non è sufficiente a coprire tutte le spese mensili, altre per svolgere proprio quell’attività che nei decenni precedenti non era stato possibile svolgere: sono tutte valide ragioni alla base di un nuovo lavoro da pensionati. Ma bisogna tuttavia segnalarlo al Fisco, altrimenti se il pensionato lavora in nero, come dipendente o autonomo, rischia sanzioni gravose e il pignoramento della pensione. Vediamo allora quali sono i pericoli concreti del lavoro in nero da pensionati e a cosa bisogna fare attenzione per evitare guai con l’Agenzia delle Entrate.

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Lavoro in nero e pensione: la diffusione del fenomeno

Come accennato, possono essere davvero svariati i motivi che spingono una persona – pur titolare di un reddito da pensione – a continuare a lavorare. Ma tutte le attività lavorative, anche le più semplici e meno impegnative in termini di orario e di sforzo mentale, vanno dichiarate. Infatti lo Stato punisce chi non rende “visibile” la propria attività da pensionato, e aggiunge così un altro reddito alla pensione, ma senza farlo emergere e senza sottoporlo al Fisco. D’altra parte se si tratta di lavoro, si tratta di retribuzione che, per legge, è soggetta ad imposizione fiscale. Insomma, si tratta di un meccanismo cui non si può sfuggire, a meno che non si voglia violare la normativa tributaria.

Il lavoro nero di per sé consiste, sempre e comunque, in un impiego non comunicato al Fisco. Il punto è che così il lavoratore si nasconde illegalmente allo Stato, non paga le tasse per la prestazione svolta e non versa i contributi previdenziali e assistenziali. Risultato: un bel buco nelle casse del Fisco ogni anno, di cui però sono gli italiani che ne fanno in definitiva le spese. Insomma, lavorare in nero significa non comunicare il proprio “status” di lavoratore a quelli che sono gli enti interessati a conoscere questo status, vale a dire Inps, Inail, Ispettorato del Lavoro e Agenzia delle Entrate.

Va da sé che la citata comunicazione è un adempimento obbligatorio (ed è del datore di lavoro in caso di lavoro subordinato): se non la si fa, si ricade automaticamente nel mare magnum del lavoro in nero. E per i pensionati questo rischio è oggettivamente piuttosto alto, potendo questi contare su un vasto campo di attività eterogenee, svolte magari saltuariamente o a tempo parziale, dato che comunque di base c’è il “sostegno” economico del reddito da pensione. Qualche esempio:

  • lavora in nero chi, già pensionato, fa consulenze o si occupa dei conti dell’impresa, magari sulla scorta della sua grande esperienza: il tutto senza dichiararlo al Fisco, ovvero quest’ultimo conosce chi sono gli altri dipendenti dell’azienda, ma non il pensionato che magari a giorni alterni si reca lì per assistere il personale;
  • altri casi simili sono quelli del pensionato che cura i prati e i fiori in qualche villa, lavorando come membro del personale domestico, ma di fatto sconosciuto al Fisco;
  • molto diffusi anche i casi delle donne pensionate che magari, perché con un’esperienza nel mondo sanitario, lavorano in nero come colf, badanti o ancora si occupano delle pulizie in abitazioni di privati o uffici.

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Quali sono i rischi concreti?

Come dovrebbe essere ormai chiaro, ogni rapporto di lavoro va comunicato agli enti interessati: nascondere i redditi significa non pagare le tasse ed esporsi a pesanti sanzioni, tra cui la perdita della pensione di cittadinanza nel caso in cui si sia beneficiari.

Se si tratta di lavoro subordinato il pensionato potrà eventualmente rivalersi verso il datore di lavoro – in caso di lavoro in nero – che abbia comportato il mancato versamento di quanto dovuto fiscalmente; ma se è lavoratore autonomo (ad es. artigiano) sarà sempre e comunque esposto direttamente alle conseguenze dell’evasione fiscale, ad esempio perché non in regola con la partita IVA e la tenuta delle scritture contabili obbligatorie. Insomma, in via generale, si può affermare che un pensionato che dà luogo a lavoro in nero come autonomo, rischia potenzialmente di più, essendo esposto direttamente agli accertamenti fiscali, non essendovi un datore come “intermediario”. E, in altre parole, il rischio concreto è quello di essere ritenuti “evasori totali” da parte dell‘Agenzia delle Entrate, in quanto l’attività autonoma, artistica, artigianale, commerciale ecc. non è stata dichiarata e rendicontata nel corso del tempo.

Ebbene venendo al punto cruciale, quali sono le sanzioni previste? A parte quelle per il datore di lavoro eventualmente coinvolto nel lavoro in nero in caso di subordinazione – per il quale sono predisposte multe molte alte, anche fino a 36.000 euro per ogni lavoratore impiegato in nero – rilevano soprattutto quelle per il pensionato, sia autonomo che dipendente. Per lui scatta infatti l’automatico accertamento da parte del Fisco e il recupero a tassazione dei redditi non dichiarati. Il meccanismo farà sì che il reddito nascosto si aggiungerà finalmente al reddito da pensione dichiarato e sul cumulo totale, la tassazione applicata non potrà che pesare per la regola della progressività delle aliquote IRPEF delle tasse.

Senza contare che il pensionato dovrà sostenere anche le spese delle sanzioni tributarie correlate a quanto evaso (nella misura del 30%), più interessi fino alla data dell’effettivo pagamento. Ma che succede se il pensionato che lavora in nero, pur individuato dal Fisco, continua a non pagare?

Ebbene, gli toccherà la procedura esecutiva con l’intervento dell’Agente della Riscossione: il rischio concreto è quello del pignoramento della pensione, pur circoscritto ai limiti previsti dalla legge. E se si tratta di lavoro in nero autonomo, come detto, si è maggiormente esposti: andranno infatti pagati autonomamente anche i contributi non versati in precedenza. I contributi invece nel lavoro subordinato, sono sempre a carico del datore di lavoro. Nel caso di mancato pagamento, scatta anche stavolta la sanzione del 30% della somma dei contributi evasi, più gli interessi. E anche qui è concreto il rischio di pignoramento della pensione, in via di recupero coattivo verso il contribuente che continua a non pagare.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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