Quei dubbi su Di Pietro che giovano a De Magistris

Pubblicato il 11 Giugno 2010 alle 07:04 Autore: Giuseppe Ceglia

Per John Ruskin, letterato e artista inglese del diciannovesimo secolo, la casa era «il luogo della pace». Per Antonio Di Pietro, leader politico del ventunesimo secolo, essa è da sempre fonte di seccature e richieste di chiarimenti, soprattutto da parte degli organi di stampa.

Di Pietro arrabbiato

In passato, le polemiche scoppiate a causa della passione di Tonino per il mattone spesso hanno avuto lo stesso sollevatore: Vittorio Feltri.Il futuro direttore de Il Giornale si occupa di Tonino sin dai tempi di Mani Pulite. I toni usati all’epoca sono distesi. La sua già sferzante penna spende addirittura parole di stima e gratitudine per il lavoro svolto dal pool, attaccando a più riprese la figura di Craxi (che chiama “il cinghialone”).

Passano gli anni e l’atteggiamento di Feltri nei confronti di Di Pietro cambia. Ne nascono duelli asperrimi a colpi di lettere, che nel giro di poco tempo causano trentacinque querele, tutte per opera dell’ex pm. Il giornalista, a quel punto, si rimangia tutto. Tra i due viene firmato un “armistizio” che Berlusconi non manda giù: alla fine del 1997 Feltri è costretto a dimettersi dalla direzione de Il Giornale.

Dopo una decina d’anni, zeppi di stoccatine reciproche, tra i due litiganti ritorna la guerra. Nel gennaio 2009, dalle colonne di Libero, Feltri chiede a Di Pietro di far chiarezza sul suo patrimonio immobiliare ponendogli sei precise domande. Il leader dell’Idv risponde punto per punto in maniera piuttosto dettagliata, non tralasciando cifre e numeri civici. Alla luce di ciò Feltri decide di non sferrare nuovi attacchi. La “pace” dura un anno e mezzo, fino ad oggi. È bastato che l’architetto Zampolini, braccio destro di Balducci e famoso “benefattore” di Scajola, pronunciasse il nome di Antonio Di Pietro tra i beneficiari di alcuni immobili di Propaganda Fide.

Il giorno seguente Tonino viene sbattuto in prima pagina dalla maggior parte dei giornali, compreso quello di Feltri. Il suo nome accanto a quello dell’ingegner Balducci stride, e il leader dell’Idv non ci sta. Nel 2006, quando ricopriva la carica di Ministro delle infrastrutture, fu proprio lui a sollevare Balducci dal “Servizio integrato infrastrutture e trasporti per le regioni Lazio e Abruzzo”. Il 31 agosto dello stesso anno, però, Di Pietro lo nomina “Capo del Dipartimento per le infrastrutture statali”; è qui che nasce l’equivoco con i giornali di centrodestra, che accusano Tonino di esser parte attiva della “cricca”.

I suoi molteplici nemici e avversari, allora, affondano il colpo. Feltri rispolvera il proprio arsenale, accusandolo di “legalità ad personam”. Accuse simili arrivano dalle velenose penne di Belpietro e Facci. Ma a pretendere chiarezza da Di Pietro si fanno avanti nuovi protagonisti, storicamente moderati, come il Corriere della Sera o il simpatizzante Paolo Flores D’Arcais.

Entrambi chiedono spiegazioni ma solo in via Solferino ottengono risposte abbastanza convincenti: l’ex pm cerca di fugare ogni dubbio inviando via mail centinaia di megabyte di documenti allegati. Certificato di laurea compreso.

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Tra detrattori e cospiratori, Di Pietro non ha perso i suoi amici di sempre. Sia Beppe Grillo che Marco Travaglio continuano a difenderlo e sostenerlo. Il primo ha aperto il blog con un post dal titolo eloquente: «Forza Tonino!»; il secondo, in un editoriale de IlFatto Quotidiano l’ha difeso a spada tratta attaccando il Corriere.

Eppure sugli attacchi a Di Pietro c’è qualcuno che ha glissato. Il mancato intervento di Luigi De Magistris in difesa dell’Idv e del proprio leader ha fatto rumore.

A essere sinceri una difesa c’è stata, anche se “di riflesso”: l’europarlamentare ha attaccato violentemente Casini il quale, a sua volta, aveva accusato Di Pietro di sciacallaggio. La tiepida presa di posizione dell’ex magistrato napoletano lascia intendere una volontà di accaparrarsi il suo elettorato tramite il tanto paventato asse con Nichi Vendola. D’altronde, nell’ultima settimana De Magistris ha preferito presentare il suo ultimo libro in giro per l’Italia piuttosto che difendere “senza se, e senza ma” il suo presidente. Qualche cosa vorrà pur dire.

Giuseppe Ceglia

 

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