Pagnoncelli a TP: “possiamo sbagliare, non siamo cartomanti. Ma i sondaggi servono”. L’intervista

Pubblicato il 27 Maggio 2009 alle 09:59 Autore: Lorenzo Pregliasco
Nando Pagnoncelli responsabile dei sondaggi Ipsos per Ballarò

Visti i limiti dei sondaggi telefonici, lei crede che in futuro potrà esserci un cambiamento, con metodologie diverse, come le interviste via web, il CAWI, o gli sms, per raggiungere i cellulari?

«uQUQQuQualsiasi cambiamento chiama in causa non solo gli istituti di sondaggi, ma anche i clienti e i media. Molti di noi fanno la loro parte, investono nelle sperimentazioni e nell’innovazione: per esempio c’è la possibilità di intervistare campioni di possessori di solo telefono cellulare, con una composizione casuale di stringhe di numeri. Ma tutto ciò determina costi superiori e tempi superiori per effettuare un sondaggio. Basterebbe che i committenti politici (i partiti) o mediatici (i giornali e le tv) non avessero tanta fretta nel disporre dei dati e potremmo per esempio reintervistare le persone che erano momentaneamente impossibilitate a rispondere perché erano fuori casa. E miglioreremmo la bontà dei campioni. Ma quanti sono disponibili a investire in innovazione, ad aumentare i tempi e i costi? È un problema che riguarda il legame tra i sondaggisti e i nostri interlocutori».

È uscito ieri un suo libro che si chiama Le opinioni degli italiani. Parlando di formazione delle opinioni, a suo giudizio qual è l’influenza della televisione in Italia, vista la singolare situazione di duopolio Rai-Mediaset?

«La risposta alla domanda implica due aspetti. Il primo è legato alla situazione di monopolio/duopolio e a Mediaset. Dico sempre che Berlusconi, pur con una concentrazione editoriale importante, ha perso due elezioni: non sempre può esserci una relazione diretta tra comportamento di voto ed esposizione alla televisione. Però nella formazione delle opinioni (e non del comportamento) la tv diventa sempre più importante, e qui arriviamo al secondo passaggio. È aumentata l’offerta informativa (reti all news, tg in fasce orarie diversificate, Internet, la free press) ma quotidiani, settimanali e mensili soffrono, siamo su valori analoghi a quelli di vent’anni fa, 5 milioni di copie vendute al giorno escludendo i quotidiani sportivi. Voglio dire che cambia la “dieta mediatica” degli italiani e con essa cambiano le modalità di formazione delle opinioni. Che cosa ci dà la tv? Emozioni, sintesi, ritmo; non ci dà l’approfondimento. Abbiamo sempre più cittadini “informati” e sempre meno cittadini “consapevoli”, le persone tendono a essere suggestionate dagli allarmi sociali – per esempio sul tema della sicurezza o dell’immigrazione – e c’è una divaricazione crescente tra percezione e realtà. Attenzione però: non è con l’elemento razionale che si rovesciano le percezioni. La percezione è quella che comanda, perché è il modo con il quale io rappresento a me stesso la realtà. Quindi posso avere elementi razionali o riscontri empirici che contrastano con le mie percezioni, ma sono queste ultime che guidano i miei comportamenti».

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L'autore: Lorenzo Pregliasco