Le primarie che decisero la fine delle primarie

Pubblicato il 4 Dicembre 2012 alle 11:57 Autore: Giacomo Bottos

Le primarie erano inserite in questa narrazione. Se i partiti non avevano più alcun diritto di scegliere i candidati (perché venivano concepiti come pesanti “apparati” autoreferenziali, come “Casta” e non come strumenti di formazione e di rappresentazione delle istanze del territorio) allora la scelta doveva essere “aperta”. Chiunque doveva potersi candidare, chiunque doveva poter votare. Non si doveva limitare il diritto di voto solo agli iscritti al partito: questi finivano per non distinguersi in nulla dai semplici simpatizzanti, che a loro volta non si distinguevano dagli elettori in genere. Del resto, se non esistono più “identità”, se non esistono più “appartenenze”, in fondo i concetti di “destra” e “sinistra” perdono significato. Raggruppamenti variabili si formano via via intorno al candidato che riesce a raccogliere più consenso.

Avveniva – cioè – a livello dei partiti ciò che accadeva per la politica più in generale: mediatizzazione dello scontro, personalizzazione, marketing politico. Ma questo meccanismo, lungi dal rendere più democratica la politica, ne accentuava invece l’aspetto elitario. Se all’interno dei grandi partiti di massa il meccanismo interno di selezione permetteva a molte persone di origine umile di emergere, il partito liquido e le primarie rendevano difficile la partecipazione alla politica attiva a chi non fosse già interno a un circolo di conoscenze e non avesse le risorse (proprie o in termini di sostegno economico da parte di privati) per affrontare le spese della campagna elettorale per le primarie.

Renzi è stato l’interprete più coerente di questa idea di partito e di politica (già Veltroni lo era stato in passato ma con dei legami con la tradizione storica del PCI e del suo gruppo dirigente che Renzi voleva invece recidere nettamente). Bersani invece, pur riconoscendo il valore e l’importanza delle primarie (che beninteso, hanno e posso avere se concepite come uno strumento e non come sostitutive della partecipazione all’interno del partito che dovrebbe ritornare in primo piano), ha avviato, fin dall’inizio della sua segreteria nel 2009, un processo di cambiamento, che non è ancora compiuto ma che certo ha fatto molta strada rispetto ai tempi della segreteria Veltroni. Questo cambiamento rivaluta l’importanza della militanza nel partito, insiste sulla necessità di ritrovare un’elaborazione culturale interna e un rapporto con la cultura esterna, concepisce un “rinnovamento” che non è un’OPA ostile della cosiddetta società civile nei confronti del partito ma è un processo che avviene all’interno del partito e che seleziona persone che si sono già confrontate con l’esperienza politica.

Questa è l’idea di partito e di politica che è risultata vincente da queste primarie. Renzi ha avuto l’onestà e la maturità di riconoscerlo, e questo va a suo merito.

La scelta di Bersani lascia aperti molti nodi. Lo schieramento che sostiene Bersani è eterogeneo, va da Enrico Letta a Stefano Fassina (e, uscendo dal PD, a Nichi Vendola). I nodi da affrontare sono molti. Ma queste primarie hanno indicato il terreno su cui dovranno essere affrontati. Questo terreno è quello della politica, per le cui forme bisognerà tornare ad avere rispetto.

L'autore: Giacomo Bottos

Nato a Venezia, è dottorando in filosofia a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore. Altri articoli dell’autore sono disponibili su: http://tempiinteressanti.com Pagina FB: http://www.facebook.com/TempiInteressanti
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