Perché Berlusconi non può ripetere l’impresa del 2006

Pubblicato il 12 Dicembre 2012 alle 16:47 Autore: Andrea Turco
Berlusconi

L’ennesimo ritorno in campo di Silvio Berlusconi ha, come era prevedibile, sconquassato il già destabilizzato quadro politico italiano. La sua autocandidatura ha scatenato ironie, dubbi, paure sia in Italia che in Europa. Obiettivamente il Cav ha tutto il diritto di giocarsela, siamo pur sempre in un regime di democrazia. Certo Berlusconi ha un ego ben noto, che spesso lo ha portato a fare scelte che non contemplano ragionevolezza e senso dello Stato, tutte doti insite in qualsiasi politico pronto a guidare un Paese. Eppure, ciò che stona in tutto questo calderone di dichiarazioni ed emozioni suscitate dal ritorno del Cav sono proprio le intenzioni di quest’ultimo.

 

Si è candidato per vincere? Berlusconi sarà pur ammaliato dai suoi super poteri quando si tratta di dar battaglia in campagna elettorale ma sa discernere la realtà dei fatti dai voli di fantasia. Dai sondaggi riservatigli spasmodicamente ogni settimana, Berlusconi è consapevole di non aver alcuna possibilità di vittoria ma spera in un “effetto 2006”. Ovvero ridurre fortemente la forbice che lo vede distaccato dal Pd di 14 punti, (ora il Pdl naviga attorno al 15 – 17%) in modo tale che al Senato i democratici non abbiano una maggioranza solida. Una strategia adatta per tenere in scacco il futuribile governo Bersani (strategia risultata vincente con il governo Prodi). Ma un’eventualità del genere può ancora ripetersi? Molti fattori dicono di no e ora ne elencherò alcuni qui di seguito.

Berlusconi

–          Nel 2006, l’Italia e l’Europa non erano investite dall’attuale crisi economica che sta sconvolgendo le economie dei Paesi occidentali. La campagna elettorale ha sullo sfondo un diverso scenario da quello di sei anni fa. L’interprete non è cambiato ma il mondo intorno a lui sì.

–          La Casa delle Libertà che corse per le elezioni del 2006 non esiste da tempo. E i suoi interpreti hanno preso strade differenti. Il cofondatore del Pdl, Gianfranco Fini, ha abbandonato Berlusconi. Bossi non è più padrone della Lega e il nuovo corso di Maroni ha sempre malvisto un’alleanza con un redivivo Cav, e lo ha ripetuto anche di persona (“serve un rinnovamento, non ci alleeremo con il Pdl se insisti a volerti candidare“). Un eventuale accordo con il Pdl infatti non piace a gran parte dell’elettorato leghista che considera il partito guidato da Alfano un porto di mare per indagati e corrotti. Casini invece ha tagliato da tempo i ponti con il Pdl. Poteva esserci un riavvicinamento a patto che Alfano prendesse le redini del partito e adottasse l’agenda Monti. Entrambe le cose però non si sono verificate.

–          Il Pdl non può più contare sull’appoggio del Vaticano e della Cei. Berlusconi con lo scandalo Ruby e il famoso Bunga Bunga ha perso di credibilità dall’altra parte del Tevere. Per lui ha avuto parole sprezzanti il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. “Non si può mandare alla malora i sacrifici di un anno, che sono ricaduti spesso sulle fasce più fragili. Ciò che lascia sbigottiti è l’irresponsabilità di quanti pensano a sistemarsi mentre la casa sta ancora bruciando”.

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L'autore: Andrea Turco

Classe 1986, dopo alcune esperienze presso le redazioni di Radio Italia, Libero Quotidiano e OmniMilano approda a Termometro Politico.. Dal gennaio 2014 collabora con il portale d'informazione Smartweek. Su Twitter è @andreaturcomi
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