La partita dei simboli elettorali: come finirà?

Pubblicato il 14 Gennaio 2013 alle 19:09 Autore: Gabriele Maestri
simboli elettorali

Altro capitolo nutrito è quello delle lamentele di chi si ritiene “scippato” della propria denominazione. I media hanno dato spazio agli esposti della Lega Nord, che ha reagito alla presentazione di tre contrassegni, in particolare quelli di altre due leghe (Liga veneta Repubblica e Lega Padana di Rabellino) ritenendo che quel termine faccia parte del proprio patrimonio simbolico; l’Ufficio elettorale centrale nazionale presso la Corte di cassazione, tuttavia, già nel 2008 aveva stabilito che il termine «Lega» o la variante «Liga» avevano un significato generico e non poteva essere attribuito a qualcuno in esclusiva, negando anche che la titolarità privatistica del nome avesse rilievo in sede elettorale.

Si lagna tuttavia anche il movimento Fratelli d’Italia, costituito a Marsala nel 2007 e simboleggiato da un guerriero a cavallo su fondo blu e con base del cerchio tricolore: il simbolo non è confondibile con quello dell’omonima formazione di Crosetto e Meloni (che si ispira chiaramente all’emblema di An e secondo qualcuno non del tutto legittimamente), ma il problema è chiaramente dato dal nome, tanto più che la Meloni e Crosetto (come pure Micaela Biancofiore prima di loro) hanno ricevuto una diffida dal movimento Fratelli d’Italia che ha comunque presentato il contrassegno. Aver depositato il suo emblema dopo quello degli ex Pdl non aiuta ad avere tutela, la costituzione precedente non basta per vedere tutelata la propria posizione: in teoria il Viminale potrebbe chiedere a Meloni e Crosetto di modificare il simbolo (magari dando più risalto a Centrodestra nazionale come in origine), ma è più probabile che i funzionari ammettano entrambi i simboli elettorali in quanto graficamente diversi (è già successo, si veda nel 1994 il caso del Partito popolare italiano), a meno che non chiedano al movimento Fdi di differenziare di più il contrassegno.

Non sfugge la proliferazione di scudi crociati, due dei quali quasi identici (il primo della cd. Dc-Fontana, il secondo presentato forse dalla Dc-Pizza, distinti solo da un riflesso di luce); entrambi sono destinati a soccombere di fronte al simbolo dell’Udc. La Dc-Fontana reclama il proprio diritto a usare lo scudo, ritenendosi legittimata – secondo me non a ragione – da due sentenze civili della Corte d’Appello di Roma (2009) e della Cassazione (2010), ma non basta: l’articolo 14, comma 6 è chiaro nel tutelare i partiti rappresentati in Parlamento con un certo simbolo e ciò avverrà anche stavolta. Potrebbe invece passare l’esame senza problemi un altro movimento denominato Unione di centro (legato a Ugo Sarao), poiché era già stato depositato nel 1994 e la Cassazione ne aveva ammesso la coesistenza con l’Udc di Raffaele Costa: gli emblemi, in ogni caso, non sono confondibili.

Da ultimo, qualche simbolo sarà ricusato perché contiene immagini religiose, cosa che la legge vieta: è il caso delle formazioni Rsi – Nuova Italia (per una croce latina ben visibile) e Lista civica Militia Christi, per il Sacro Cuore in evidenza (mentre il cuore di Italia cristiana, negli anni più volte “censurato”, è già privo della croce e non avrà problemi). E se c’è ben poco da contestare sulla croce greca sul simbolo di «No alla chiusura degli ospedali», è molto probabile che riescano a superare l’esame del Viminale quei contrassegni che al loro interno contengono una croce sia pure “camuffata”, specie all’interno di una bandiera; probabile via libera anche per l’Unione cattolica italiana che, dopo essersi vista per anni “bocciare” le chiavi di san Pietro, ha sostituito la croce tradizionale con una “croce di sant’Andrea”, più difficile da leggere come segno religioso.

di Gabriele Maestri

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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