Quella proposta senza senso del Pd a Grillo

Pubblicato il 11 Marzo 2013 alle 16:42 Autore: Livio Ricciardelli

Il Partito Democratico punta ad un governo di minoranza. E attraverso otto punti qualificanti (costi della politica, lavoro, Europa ecc…) mira ad ottenere i preziosi voti di fiducia dei senatori Cinque Stelle a Palazzo Madama.

Si tratta di una linea concordata e approvata dalla direzione nazionale del Pd. Ed oggettivamente appare l’unica strada praticabile per Bersani che sembra quanto mai poco propenso ad accordi col centrodestra a trazione berlusconiana.

Tanto che non stupisce l’unanimismo della direzione Pd alla proposta di Bersani: non ha vinto queste elezioni, soprattutto moralmente, ma essendo arrivato primo a lui spetta il primo passo.

C’è però da scommettere che, nel caso di fallimento di questo difficile asse coi grillini, la prossima assemblea democratica sarà tutt’altra che unanime considerando lo schieramento pro-governissimo e quello favorevole ad un ritorno al voto.

C’è però una contraddizione di fondo nella proposta del Pd ai Cinque Stelle. Una contraddizione che, considerando gli stretti margini di manovra di Bersani, rischiano di mandare definitivamente in malora la difficoltosa operazione politica.

L’approccio del Movimento Cinque Stelle nel corso di questi ultimi quattro anni è stato di critica totale a tutto il sistema dei partiti. Per Grillo, padre padrone del movimento pur non candidato in nessuna circoscrizione parlamentare, Berlusconi non si differenzia molto da Bersani e lo stesso Pd è denominato dal comico genovese il “pdmenoelle”.

Un approccio paradossalmente stalinista. Ma di quello pre-Seconda Guerra Mondiale: Hitler come Roosevelt, Churchill come Mussolini.

Non c’è differenza.

Senz’altro si può osservare che in questo periodo storico per quanto alcune categorie della politica appaiono superate, una certa differenza tra sinistra e destra sussiste ancora.

Di conseguenza la posizione grillina è nella migliore delle ipotesi pressappochista.

E’ innegabile però che questa condotta ormai fa parte del patrimonio genetico del movimento e non è escluso che gran parte degli elettori Cinque Stelle, per quanto ex elettori di centrodestra o centrosinistra, condividano in gran parte l’equivalenza tra Berlusconi e Bersani.

Ora, nelle intenzioni dei grillini, considerando che nessuno prospettava la maggioranza assoluta dei seggi per Grillo sia alla Camera sia al Senato, l’obiettivo massimo era quello di contribuire all’attività legislativa del parlamento. Ponendo i temi prioritari per l’agenda politica grillina (le famose cinque stelle) e stanando i tentativi dei partiti di non risolvere i vari problemi del paese.

Lo scenario post-voto però paradossalmente carica di responsabilità maggiori Grillo, perché dipende proprio da lui l’esistenza o meno di un governo in grado di governare e di conseguenza di produrre, in sede parlamentare, atti di carattere legislativo.

Da qui l’ipotesi, molto spesso spiegata in malo modo, su una certa “simpatia” del Movimento Cinque Stelle nei confronti del governo d’unità nazionale: in questo modo infatti la responsabilità di un voto di fiducia al governo spetterebbe ai partiti “tradizionali”. Loro si accollerebbero le responsabilità dell’esecutivo, i grillini potrebbero porre i loro temi in aula e al tempo stesso capitalizzare elettoralmente scossoni e atti impopolari dell’esecutivo.

(Per continuare cliccare su “2”)

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
Tutti gli articoli di Livio Ricciardelli →