L’importanza di finire in galera (a Monopoly)

Pubblicato il 23 Agosto 2013 alle 19:35 Autore: Gabriele Maestri

“Questa è per Blob”. In televisione, da un quarto di secolo, è questa la frase pronunciata da chi inciampa in una gaffe e conserva un po’ di autoironia e prontezza di risposta. La Rete, invece, non ha bisogno di filmati: se da qualche parte c’è un testo, un’immagine, una frase o un gesto che merita di essere preso di mira, colpisce. Anche se si tratta, per dire, di una serissima lettera di protesta firmata da sette parlamentari italiani e indirizzata all’ambasciatore americano. Oggetto della missiva: Monopoly.

A scanso di equivoci, nessun riferimento a posizioni dominanti illegittime di qualche non meglio precisata azienda. A irritare la pattuglia di rappresentanti del popolo è proprio il caro vecchio gioco da tavolo, che affonda le sue origini negli Stati Uniti di inizio ‘900 ed è un successo planetario a partire dalla metà degli anni ’30.

In Italia, in realtà, l’abbiamo sempre chiamato Monòpoli, con la “i” e con quell’accento innaturale sulla seconda “o”: colpa del regime fascista che aveva imposto alla neonata Editrice Giochi di italianizzare il nome, ma gli italiani amarono talmente tanto quel gioco di strategia economica da imparare presto a pronunciarlo all’inglese e da tramandarne la passione attraverso varie generazioni, cresciute spostando funghetti e tube su un tavoliere e costruendo case e alberghi su Vicolo Stretto e Parco della Vittoria.

Monopoly  proprio come Scarabeo sì è mantenuto sempre popolare, pur restando quasi sempre uguale a se stesso. E la questione di oggi sta proprio lì. Già, perché i deputati del Pd Michele Anzaldi, Marina Berlinghieri, Matteo Biffoni, Lorenza Bonaccorsi, Federico Gelli ed Ernesto Magorno, nonché un insospettabile Luigi Bobba, già serissimo presidente nazionale delle Acli, si sono scagliati contro l’ultimo cambiamento previsto dai produttori della Hasbro: un cambiamento inatteso e (assicurano loro) diseducativo.

Luigi Bobba

Luigi Bobba

Stavolta le tradizionali proprietà immobiliari sono sostituite da pacchetti azionari di grandi multinazionali. Si passa dall’acquisto di immobili alla speculazione in Borsa e inoltre, novità decisamente preoccupante, sarebbe stata abolita la casella della prigione“. Difficile immaginare l’espressione di John R. Phillips, neonominato ambasciatore Usa in Italia, nel leggere che gli si chiede conto delle modifiche di un gioco, anche se qualche partitina a Monopoly (quello originale con la “y”) l’avrà fatta pure lui.

Secondo i deputati Pd, però, motivi per indignarsi il diplomatico li avrebbe tutti: “Mentre la Casa Bianca pone l’accento contro le frodi dei titoli e gli abusi degli strumenti finanziari, il Monopoly torna ad esaltare la turbo economia che ha aperto la crisi finanziaria 2008, con il messaggio diseducativo che, in caso di violazione delle regole, non si viene puniti”. Morale: le autorità americane competenti dovrebbero fare qualcosa o, almeno, far capire che con le nuove regole, a quel gioco, non giocherebbero mai.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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