Decadenza, Berlusconi cosa vuole davvero?

Pubblicato il 11 Settembre 2013 alle 15:24 Autore: Gabriele Maestri

Le cronache relative al “caso Berlusconi” mostrano da settimane il Pdl impegnato in una difesa totale e acritica del suo leader e fondatore, per evitare in ogni modo la sua decadenza da senatore e, in generale, per garantire la sua “agibilità politica” ora e in futuro.

In particolare, negli ultimi giorni per non far scattare la decadenza a norma delle disposizioni della “legge Severino” sull’incandidabilità (a seguito della condanna definitiva nel processo sui diritti tv Mediaset), si è considerata ogni via possibile, politica o giuridica, compreso lo stravolgimento dei fatti e delle precedenti dichiarazioni (a partire da Alfano che, come prova il Fatto Quotidiano a dicembre si mostrava sicuro dell’assoluzione di Berlusconi, non dell’applicazione non retroattiva dell’incandidabilità).

Nessuno strumento di tutela è stato risparmiato, anche il più improbabile, come il ricorso alla Corte europea dei diritti umani: esso non può intervenire prima che siano state esaurite tutte le vie di ricorso interne, mentre è stato presentato proprio mentre è in corso il procedimento davanti alla Giunta, che gli stessi esponenti del Pdl qualificano con convinzione come giurisdizionale (al limite si potrebbe discutere dell’imparzialità, ma è vero che finora le decisioni contro i membri del Parlamento sono state ben poche).

silvio berlusconi

Detto questo, però, occorre fare qualche riflessione: le impone la vicenda giuridica (non giudiziaria, proprio giuridica) di Silvio Berlusconi, che se considerata in modo completo può legittimamente far sorgere dei dubbi, soprattutto sulle effettive intenzioni del fondatore del Pdl.

In particolare, non può non colpire la foga con cui si sta cercando in ogni modo di evitare ora la decadenza di Berlusconi, se solo si pensa a un “piccolo” particolare. Come si sa, il 19 ottobre è stata fissata la prima udienza del processo d’appello-bis a Milano, per il ricalcolo della pena accessoria. Essendo già definitivi l’accertamento e la condanna alla pena principale, l’operazione sarà breve: a volerla fare lunga, potrebbe occorrere qualche settimana, arrivando magari alla fine di novembre o (al più) all’inizio di dicembre.

A quel punto, l’interdizione dai pubblici uffici spiegherà i suoi effetti: certo, non si può escludere un nuovo ricorso in Cassazione della difesa di Berlusconi (non ci sono strumenti per dire il contrario), in quel caso la data sarà spostata avanti di pochi mesi, ma arriverà comunque. A quel punto, la Giunta dovrà prendere atto della decadenza derivante dall’interdizione: ci sarà un voto sulla sola presa d’atto, senza poter ribaltare gli effetti della sentenza. Lo stesso relatore in Giunta, il Pdl Andrea Augello, due giorni fa ha ammesso che l’interdizione è “un’altra forma di decadenza più certa e meno opinabile” rispetto a quella della “legge Severino”.

Il destino di Berlusconi, dunque, sembra segnato: se non decade in questi giorni, decadrà tra qualche mese, guadagnando forse un po’ di tempo con il ricorso in Cassazione. Il Pd, Sel e il M5S dicono di volere ora la decadenza, un po’ per confermare una certa “vocazione alla legalità” (i democratici rischiano una sollevazione degli iscritti, qualora contribuiscano a “salvare” Berlusconi), un po’ perché anticipare l’uscita di scena del massimo avversario ha un certo fascino. Ma la vera domanda è sul fronte del Pdl: perché tanta foga nell’evitare la decadenza del leader ora, se la deadline del mandato parlamentare (e della candidabilità) è solo rinviata?

(Per continuare la lettura clicca su “2”)

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
Tutti gli articoli di Gabriele Maestri →