Ruby-bis, “Corruzione in atti giudiziari” Tribunale di Milano: Berlusconi da indagare

Pubblicato il 29 Novembre 2013 alle 11:58 Autore: Gabriele Maestri
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Ruby-bis, “Corruzione in atti giudiziari”. Tribunale di Milano: Berlusconi da indagare

Appena decaduto da senatore (dunque senza più nessuna garanzia tipica dei parlamentari), Silvio Berlusconi potrebbe finire indagato in un nuovo filone dell’inchiesta originata dal caso Ruby, con la pesante accusa di corruzione in atti giudiziari. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza che i giudici del tribunale di Milano hanno emesso per condannare in primo grado Emilio Fede, Lele Mora (sette anni di carcere a ciascuno) e Nicole Minetti (cinque anni) nel processo Ruby-bis.

Oltre a Berlusconi, secondo il Tribunale si dovrebbe procedere anche nei confronti delle ragazze che parteciparono alla riunione che Berlusconi convocò nella sua villa di Arcore il 15 gennaio 2011 e dei suoi avvocati Piero Longo e Niccolò Ghedini. Oggetto dell’attenzione dei magistrati, in particolare, sarebbe “il pagamento mensile regolare di una somma di denaro” da parte del Cavaliere alle ragazze ospiti ad Arcore, che poi hanno testimoniato in Aula.

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Nella sentenza che chiude il primo grado del processo Ruby-bis, infatti, i giudici scrivono in modo esplicito che quella condotta sarebbe da ritenere “un inquinamento probatorio”. Nella pratica, il versamento di 2.500 euro al mese “a soggetti che devono testimoniare in un processo nel quale colui che elargisce la somma è imputato, nonché in altro processo all’esito del quale colui che elargisce la somma è interessato, in quanto vicenda connessa alla sua, non è una anomalia, ma un fatto illecito”.

Toccherà ora alla procura decidere come procedere di fronte a questo “invito” dei giudici. Ora che è caduta ogni garanzia speciale per Silvio Berlusconi (comprese quelle relative alle intercettazioni), c’è da giurare che si scatenerà un vespaio giudiziario destinato a diventare politico in brevissimo tempo. Tutto questo mentre il Cavaliere attende notizie circa la possibilità che il processo sui diritti tv sia sottoposto a revisione e spera che dalla Corte europea arrivino buone nuove (per lui) che contrastino con l’applicazione della “Legge Severino” a fatti precedenti alla sua entrata in vigore.

Gabriele Maestri

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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