Legge uninominale? Pochi pregi, moltissimi difetti, il caso inglese

Pubblicato il 9 Gennaio 2014 alle 14:39 Autore: Gianni Balduzzi
camera dei deputati

Legge uninominale? Pochi pregi, moltissimi difetti, il caso inglese

Tra le proposte da sempre sul tavolo per le modifiche della legge elettorale, l’utilizzo dei collegi uninominali per un maggioritario secco a un turno è sempre presente, e costituiscono anche l’ossatura del Mattarellum preferito sia dal M5S che da molti renziani.

Si tratta di un sistema nato nel Regno Unito ed esportato nelle aree del mondo sotto la sua influenza, prima di tutto gli USA, e poi in Paesi africani e asistici, come l’India, ma molto poco usato nelle democrazie avanzate.

Vediamo allora alcune caratteristiche che nel tempo si sono riscontrate proprio in Inghilterra. Conosciamo già alcuni difetti come la scarsa rappresentatività, soprattutto di terze forze pur grandi (i liberaldemocratici che hanno spesso avuto il 2% dei seggi con più del 20% dei voti), oppure la possibilità di vittoria di partiti in realtà arrivati secondi nel voto popolare, ma vi sono alcune caratteristiche che marcano una grande differenza con il proporzionale.

Per esempio la progressiva polarizzazione regionale:

I ricercatori Hodgson e Maloney dell’università di Exeter hanno ideato un indice con il seguente metodo: prendono la differenza tra la percentuale di seggi che al Nord (tradizionalmente di sinistra) sono più laburisti della media nazionale e di seggi che sono più conservatori della media nazionale, e la sommano alla differenza tra la percentuale di seggi che al Sud (tradizionalmente moderato) sono più conservatori della media britannica e quelli che sono più laburisti della media nazionale. Il punto è che in una situazione molto polarizzata entrambe le differenze saranno alte e così la somma tra esse, essendo molti i seggi laburisti al Nord sovraperformanti e molti quelli conservatori al sud ugualmente sopra la media.

Così possiamo vedere l’andamento di tale indice negli anni, è purtroppo assente l’ultima elezione del 2010:

Come vediamo dal 1950 agli anni ’80 c’è stata un impennata della polarizzazione, in un range tra 0 e 200 si va da 8 del 1950 al 40 del 1987, per poi scendere e rislaire e rimanendo sempre al di sopra dei valori precedenti agli anni ’80, segno di una realtà ormai plasmata, quella di un Paese più diviso di quello che fosse prima, con un Sud più ricco e conservatore, soprattutto in provincia, e un Nord ex industriale con un reddito inferiore e laburista.

Il punto è che quando capita, come con l’uninominale, che una regione intera venga rappresentata solo da un colore, perchè il partito perdente, magari anche se con il 30% per le caratteristiche della legge elttorale, non ottiene seggi, o quasi, questo innesta un circolo vizioso per cui gli abitanti tendono a identificarsi con quel partito come protettore degli interessi dell’area.

A onor del vero i cambiamenti sociali hanno fatto invece crollare la polarizzazione sociale, tra classe media e classe lavoratrice, in base i sondaggi da un analogo indice di 76 del 1964 a uno di 37 del 2011, sta agli scienziati della politica dire cosa è peggio, se una spaccatura sociale o geografica.

Gli stessi ricercatori, al di là della questione geografica hanno ideato degli indici, che chiameremo “di pluralismo”, ovvero nel caso A la percentuale di collegi in cui i conservatori hanno avuto tra il 45 e il 55% del voto di conservatori e laburisti, quindi in cui i due partiti sono stati più vicini, e nel caso B, per includere anche i libdem, quando c’è stata una vittoria con una maggioranza inferiore del 10%.

Vediamo  il grafico:

Vi è stato un netto calo del pluralismo, con un parziale rimbalzo nel 2005, ovvero sempre più collegi finiscono per essere vinti con maggioranza ampie e senza una reale competizione, del resto in un sistema in cui il proprio voto vale solo per la propria area e non per il risultato nazionale, l’elettore del partito di minoranza non è incentivato a recarsi al voto, sono sempre meno i seggi realemente contendibili, non un bene per la democrazia.

A dimostrazione del legame con l’affluenza, prendendo i margini di vittoria nei 10 collegi con affluenza minore e nei 10 con affluenza maggiore, e mettendoli in ordine di margine, osserviamo:

In verde i seggi del gruppo con massima affluenza e in viola quelli con minima affluenza. Si può vedere che quasi tutti i seggi con grandi margini sono quelli anche con affluenza minore, infatti, a testimonianza del legame biunivoco tra affluenza e margini di vittoria.

E se il destino strutturale di una legge uninominale è quello di allargare le maggioranze nei collegi, per la democrazia non sarà un bene sapere che questo limita anche la partecipazione.

L'autore: Gianni Balduzzi

Editorialista di Termometro Politico, esperto e appassionato di economia, cattolico- liberale, da sempre appassionato di politica ma senza mai prenderla troppo seriamente. "Mai troppo zelo", diceva il grande Talleyrand. Su Twitter è @Iannis2003
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