Dario Franceschini: premio di coalizione per alleanze con centro e sinistra

Pubblicato il 4 Febbraio 2017 alle 14:17 Autore: Camilla Ferrandi
Dario Franceschini

Dario Franceschini: premio di coalizione per alleanze con centro e sinistra

“Siamo dentro una bufera che colpisce l’intero Occidente, con il populismo che cavalca le paure della gente, con le prossime elezioni in Germania e soprattutto in Francia dall’esito incerto, con un dibattito aperto sui destini dell’Unione dopo la Brexit, con il Paese gravato da sacche di povertà e disoccupazione”, commenta il Ministro della Cultura, Dario Franceschini, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera. I timori sono gli stessi per tutta l’area riformista italiana, oltre che europea e, più in generale, occidentale. Il populismo è ormai peculiarità di un elevato numero di partiti divenuti competitivi nell’arena elettorale. I risultati delle presidenziali statunitensi sono solo l’ultimo dato ufficiale che conferma il radicamento di questa tendenza. E, come sottolinea Franceschini, il “populismo” va a braccetto con “sacche di povertà e disoccupazione”, non timori, ma realtà da superare, anche al fine di eliminare le principali cause dell’attecchimento del populismo stesso.

Dario Franceschini: no alla scissione del Pd

“C’è quindi la necessità — ognuno per la propria parte — di trovare soluzione ai problemi, evitando di crearne ulteriori” continua il ministro. Cosa può fare, dunque, da parte sua, il centro sinistra italiano, o meglio, il Partito Democratico? “Frantumare il campo riformista aumenterebbe le possibilità di vittoria di trumpisti e lepenisti: sarebbe un errore mortale”. Totalmente contrario all’ipotesi di scissione, minacciata dall’area più “radicale” del Pd, Franceschini sostiene l’inclusività del Partito Democratico, unica strategia percorribile per aggirare, o almeno limitare, “i rischi che stiamo correndo”. Ma non si tratta solo di strategia politica. C’è un affetto, legato soprattutto all’impegno, alla fatica e al tempo impiegati per la costruzione di un partito unico della sinistra: “Abbiamo impiegato vent’anni per fare il Pd. Vent’anni di storie politiche e percorsi personali a volte difficili: si può disperdere un simile patrimonio? Perciò quando sento parlare di scissione penso che la sciagura vada evitata”. Tornando alla strategia politica, il ministro della Cultura dichiara: “A mio avviso il premio di maggioranza andrebbe assegnato alla coalizione, alla Camera e al Senato, rispettando i dettami costituzionali: così si avrebbe negli schieramenti una corretta articolazione delle posizioni. Nel campo riformista – continua Franceschini – c’è un’area di centro che ha collaborato con i governi di Letta e Renzi, e ora collabora con quello di Gentiloni: sarebbe strano se dopo cinque anni ci candidassimo su fronti contrapposti. C’è infine uno spazio a sinistra del Pd che può essere parte del processo: penso all’operazione di Pisapia. Per tenere insieme questa aggregazione, servirebbero le primarie di coalizione”.

Dario Franceschini: premio di coalizione, no di lista

Il suo obiettivo, dunque, sarebbe proprio quello di rivisitare la legge elettorale, come consegnata dalla Consulta, soprattutto nella parte riguardante il premio. Ad oggi, il premio di maggioranza, pari al 55% dei seggi della Camera dei Deputati, scatterebbe laddove una lista prendesse il 40% dei voti. L’impossibilità per qualsiasi partito, almeno per il momento, di raggiungere tale percentuale è palese. Fino alla sentenza della Corte Costituzionale del 25 gennaio scorso, l’Italicum prevedeva il ballottaggio tra le due liste più votate al primo turno se nessuna avesse raggiunto il 40% dei voti. Con il ballottaggio si avrebbe avuto la certezza di una lista con la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera. Ma venendo meno il ballottaggio al secondo turno, dichiarato incostituzionale dalla Consulta, il 40% dei voti per assicurarsi il 55% dei seggi diventa un miraggio per tutte le forze politiche in campo. Ed ecco che muta la strategia dei partiti che, da un punto di vista scientifico, è variabile dipendete delle regole elettorali. La destra cerca una via per costruire un polo univoco alternativo al centro sinistra/Pd e al M5S. Il Movimento 5 Stelle rimane fermo al “vogliamo vincere da soli e governare da soli”. Il centro sinistra si sfalda, anche in questo caso, mettendo su piazza diverse soluzioni. Tra queste, l’idea di Franceschini di mettere mano all’Italicum come uscito dalla sentenza della Corte succitata per cambiare il destinatario del premio. In questo modo, infatti, sarebbe scongiurato il pericolo delle conseguenze di una possibile “scissione” democratica. Infatti, anche laddove il Pd si dovesse scindere nelle sue diverse anime, il 40% dei voti alla coalizione diventerebbe una posta in palio troppo appetibile per rinunciarci. Inoltre, con il 40% alla coalizione e no alla lista, la potenziale coalizione di centro sinistra, sottolinea Franceschini, potrebbe abbracciare tutte le forze riformiste. Quelle stesse forze che hanno appoggiato prima Letta, poi Renzi e infine Gentiloni, aprendo la strada, continua il ministro, ad una fase riformista senza precedenti.

Dario Franceschini: le perplessità

Ora, le perplessità sulle posizioni del ministro della cultura sono molte, ma due sembrano le più consistenti. Primo: il premio di maggioranza alla lista, e no alla coalizione, era ed è uno dei punti cardine della riforma elettorale del 2014. Alla base della scelta, che ha avuto un consenso pressoché unanime, sta proprio l’idea, maturata dopo anni di esperienza Porcellum, di evitare coalizioni troppo ampie, create nella fase pre elettorale al fine di conseguire il premio, e ingestibili, però, nella fase del dopo voto. Secondo: lo scenario delineato da Franceschini, di una coalizione che vada dal centro alla sinistra, riunendo in sé tutte le anime riformiste italiane, “istituzionalizzerebbe” le larghe intese, innalzandole a normale modus vivendi della competizione elettorale democratica. Ma così non è, o meglio, non può essere. Il “governo delle larghe intese” non può essere l’obiettivo sul quale pianificare la strategia elettorale. Può e deve rimanere la strada da percorrere, e da percorrere con intelligenza e solidarietà, in mancanza di alternative. Se si deciderà per un sistema proporzionale, le forze politiche dovranno fare pace con questo. Ricercare il “maggioritarismo” anche laddove non c’è diventa esclusivamente una forzatura. Un forzatura che esula gli strumenti che “l’ingegneria costituzionale”, come la chiama Giovanni Sartori, fornisce.

L'autore: Camilla Ferrandi

Nata nel 1989 a Grosseto. Laureata magistrale in Scienze della Politica e dei Processi Decisionali presso la Cesare Alfieri di Firenze e con un Master in Istituzioni Parlamentari per consulenti d'assemblea conseguito a La Sapienza. Appassionata di politica interna, collaboro con Termometro Politico dal 2016.
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