Verso le elezioni di midterm: l’America al voto

Pubblicato il 8 Ottobre 2010 alle 11:23 Autore: Andrea Mollica
usa 2010

In vista delle elezioni del 2 novembre, la maggioranza democratica al Congresso è in fortissimo pericolo. Solo un recupero (improbabile) potrebbe salvarla.

Verso le elezioni di midterm: l’America al voto

I sondaggi non sono univoci nella stima delle intenzioni di voto, ma concordano nella profonda insoddisfazione che spira tra gli americani. Fino a due anni fa la rabbia anti governo beneficiava i democratici, che ora rischiano però di venirne travolti a loro volta: e a poco di meno di 4 settimane dalle elezioni di metà mandato l’elettorato statunitense sembra pronto a infliggere una sonora lezione ad Obama.

OBAMA SULLA STRADA SBAGLIATA?

Neanche un terzo degli statunitensi pensa che il Paese si trovi nella giusta direzione di marcia. Una chiara maggioranza pensa che l’America stia andando male, e la motivazione principale risiede nella crisi che Obama è riuscito solo a fermare, ma non a risolvere.

L’economia ristagna, la crisi ha fatto perdere milioni di posti di lavoro e al momento il tasso di disoccupazione traccheggia intorno al 10% da molti mesi. Le famiglie hanno meno reddito disponibile rispetto a prima, e la svalutazione degli immobili ha colpito l’investimento più prezioso di molti milioni di persone. Un clima tossico che mette in grave difficoltà Obama e i democratici che controllano il Congresso. Il presidente viaggia su indici di popolarità abbastanza bassi, in linea con quelli dei suoi predecessori che hanno governato durante fasi economiche così difficili. Obama ha una media del tasso di gradimento  di circa il 45%, e da ormai un po’ di mesi una pluralità di americani non approva il suo operato.

Il Congresso non è mai stato così’ impopolare come ora. Tradizionalmente gli statunitensi non apprezzano il lavoro dei loro parlamentari, ma in questo momento lo spread tra chi approva e chi no viaggia intorno al -50, con più dei due terzi degli intervistati che disapprovano i legislatori di Washington Dc.

Simili valori indicano le nubi tempestose che si addensano sulle speranze liberal, la cui base è molto meno galvanizzata rispetto al flusso di energia rabbiosa che elettrizza l’anima conservatrice dell’America.

EFFETTO TEA PARTY

Il movimento del Tea Party è stato sicuramente il fenomeno mediatico del 2010. La ribellione della base repubblicana ha mietuto molte vittime eccellenti tra le fila del Gop e ha rinvigorito un partito che sembrava uscito distrutto per molti anni dall’impopolare presidenza Bush. Il Tea Party ha fatto vincere candidati spesso meno competitivi di quelli appoggiati dall’establishment repubblicano, però a parte nel Delaware, dove l’improponibile Christine O’Donnell ha de facto regalato un seggio ai democratici, il saldo tra mobilitazione massiccia e repulsione dei moderati è ancora in positivo. Rispetto alle presidenziali le consultazioni di metà mandato sono contrassegnate da una minore partecipazione. L’elettorato è più bianco, più anziano e più conservatore rispetto alla media, e ciò favorisce i repubblicani. Quest’anno, inoltre, tutti i sondaggi rilevano un gap consistente di entusiasmo tra Gop e democratici.

Questo dovrebbe tradursi in una drastica riduzione del vantaggio nell’identificazione politica tradizionalmente goduto dal centrosinistra americano. Secondo l’ultima rilevazione di Gallup potrebbe esserci addirittura un clamoroso, e rivoluzionario, sorpasso repubblicano in questo dato chiave, e ciò si tradurrebbe in un successo conservatore di notevole entità.