Movimento 5 Stelle da watchdog a partito

Pubblicato il 27 Marzo 2013 alle 10:26 Autore: Matteo Patané

Proprio in tema di sfiducia, Messora tira in ballo una serie di difficoltà nella ipotetica sfiducia ad un governo in carica: per presentare una mozione di sfiducia occorrono le firme di almeno un decimo dei membri delle Aule, la mozione deve essere messa all’ordine del giorno e devono in ogni caso passare almeno tre giorni dalla sua presentazione affinché venga discussa. E occorre una maggioranza che la voti, con le stesse regole con cui si vota normalmente qualsiasi altra proposta parlamentare. Ma sono ostacoli così insormontabili?

Impedirebbero al MoVimento 5 Stelle di ritirare il proprio appoggio ad un Governo? In realtà la pattuglia grillina in Parlamento supera il 10% in ciascuna aula ed in particolar modo al Senato dove il M5S è determinante, quindi i grillini potrebbero presentare autonomamente una mozione di sfiducia. Serve poi la calendarizzazione; ma a tale proposito è bene ricordare che Bersani aveva a suo tempo offerto al M5S una presidenza dell’Aula, quindi proprio il potere di dettare gli ordini del giorno.

Infine, il voto. Il centrosinistra non è autosufficiente al Senato, quindi con una mozione di sfiducia in tale aula il M5S avrebbe tutto il potere di far cadere il Governo o quantomeno, in caso di soccorso del centrodestra, tirarsene fuori e certificare l'”inciucio”. Le difficoltà esposte da Messora, a ben vedere, non sembrano poi così determinanti.

L’unico punto dolente, che tra l’altro non si sente quasi mai nelle argomentazioni a cinque stelle, riguarda l’uso dei decreti legge: un governo PD, una volta insediato con i voti del MoVimento, avrebbe il potere di emanare decreti legge e farli convertire in aula con i voti del PdL. In realtà il PD potrebbe fare la stessa cosa passando dal Parlamento e non dal Governo, lo strumento del decreto serve solo a garantire maggiore velocità al processo, quindi anche questa obiezione, pur realistica, appare un po’ spuntata.

La scelta di non applicare il modello Sicilia, modello di cui giustamente i grillini si vantano, a livello nazionale, non dipende quindi né da motivazioni tecniche sull’impossibilità di tornare indietro sul tema della fiducia, né da vincoli di tipo politico che costringano il M5S a sostenere l’esecutivo Bersani a qualsiasi costo. Motivazioni ben più probabili sono la scelta consapevole di non accollarsi responsabilità di governo, e la volontà di non stringere accordi con altre forze politiche – sicuramente partendo da una sfiducia di fondo per certi aspetti decisamente giustificata – in maniera indipendente dalla bontà del programma proposto e dalle proprie possibilità di terminare l’esperienza governativa.

Il secondo filone critico sul dibattito relativo alla priorità tra l’abbattimento della classe politica e l’operato per l’Italia, che abbandona il campo prettamente tecnico per addentrarsi in quello più filosofico, riguarda l’identificazione di questi due obiettivi.
Secondo questo pensiero, sostanzialmente, il bene del Paese e la distruzione del sistema partitico, della democrazia rappresentativa e all’interno di questo processo dell’attuale ceto politico, sono in realtà un unico tema.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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