Giunta sospesa, altro rinvio, Su Berlusconi si va verso il voto segreto?

Pubblicato il 29 Ottobre 2013 alle 12:33 Autore: Gabriele Maestri

Giunta sospesa, nuova discussione in serata. Su Berlusconi si va verso il voto segreto?

Non si sa ancora quando sarà fissato il voto del Senato sulla decadenza dal mandato di Silvio Berlusconi, ma certamente la partita più delicata si gioca oggi, a partire dalle ore 15. Per quell’ora, infatti, era fissata la riunione della Giunta per il regolamento del Senato che dovrebbe dare un parere se quella votazione dovrà svolgersi a scrutinio palese o segreto. La discussione, però, al momento è sospesa, visto che i tempi si sono allungati e urge la discussione in aula del decreto PA: se ne riparla stasera.

LA DISCUSSIONE

Lo scontro tra le varie tesi è iniziato ancora prima dell’inizio della riunione della Giunta: già in conferenza dei capigruppo, infatti, Renato Schifani (Pdl) ha sostenuto che non si potrà votare sul parere che la Giunta darà sullo scrutinio, perché non è una modifica regolamentare ma, appunto, solo un parere sulle norme. Non la pensava così Loredana De Petris (Sel-misto), per la quale il voto è possibile e la discussione va calendarizzata in tempi rapidissimi.Lo stesso ha chiesto Paola Taverna (M5S), contro al calendario proposto (e approvato a maggioranza) che non prevede la discussione fino al 22 novembre (il MoVimento propone il 5 novembre).

paola-taverna

La seduta inizia dopo le 15, in assenza (per il momento) del senatore  Karl Zeller (Svp, per problemi di volo), ma sembra subito sospesa. “La corte d’Appello di Milano ha appena detto che l’incandidabilità è una sanzione amministrativa, e pertanto non è retroattiva. Quindi da ragione a noi e non c’è motivo di andare avanti” spiega Francesco Nitto Palma (Pdl) dopo il deposito delle motivazioni della decisione della corte sul ricalcolo dell’interdizione dai pubblici uffici.

Per il senatore pidiellino, in particolare, le motivazioni sono “un fatto nuovo” che merita di essere approfondito: “Non è più urgente andare di corsa su voto palese-voto segreto; quando arriverà in Aula la questione, inevitabilmente dovrà tornare in Giunta”. La seduta, in realtà, prosegue e il plenum della Giunta si completa con l’arrivo di Zeller, dopo un’odissea tra treni e automobili per raggiungere Roma.

Nitto Palma, Pdl

Nitto Palma, Pdl

Mentre si continua a valutare la richiesta di sospensione avanzata dal Pdl, si apprende che anche la senatrice Pd Stefania Pezzopane (come altri colleghi già presenti nella Giunta delle elezioni) ha ricevuto una lettera di minacce molto pesante (“Non vi salva neanche Dio” e l’immagine dei cappi di Piazzale Loreto), prontamente denunciata. Schifani e Renato Brunetta, intanto, per il Pdl insistono nel chiedere un approfondimento dell’esame della “legge Severino” (fino a ora “frettoloso e superficiale”) alla luce di quanto contenuto nelle motivazioni, che per Andrea Augello (Pdl) dovrebbero essere acquisite dalla Giunta delle elezioni.

Alla fine la sospensione c’è davvero, anche perché nel frattempo l’aula riprende il lavoro, visto che c’è da votare la conversione del decreto sulla Pubblica amministrazione (anzi, l’aula slitta di un’ora rispetto alle 16.30 perché manca il parere della quinta commissione sul decreto Pa): “Ci sono tanti interventi del Pdl e anche la relazione di Anna Maria Bernini. Auspico che si possa decidere questa sera ma c’è una contrapposizione molto forte” spiega la senatrice De Petris al termine della riunione della Giunta.

Dal Senato, però, trapela la notizia che la Giunta è convocata a oltranza, finché non arriverà al voto sul tipo di scrutinio da praticare in aula: a deciderlo sarebbe stato il presidente Pietro Grasso. L’organo dunque si riunirà di nuovo dopo la fine del voto sulla conversione del decreto Pa: resta una delle due relazioni da svolgere e poi si arriverà al voto, questa sera o al più tardi domattina (ma è più probabile stasera). E, secondo le ultime indiscrezioni, anche Linda Lanzillotta (Sc) sarebbe incline a votare a favore del voto palese. Cosa che produrrebbe una maggioranza in Giunta su questa opzione.

LOTTA SUL CALENDARIO SOTTO GLI OCCHI DI GRILLO

Nel frattempo continua il dibattito sulla fissazione della data per discutere il caso Berlusconi, anche perché in tribuna a Palazzo Madama è arrivato Beppe Grillo e la sua presenza si fa notare. Non a caso Paola Taverna interviene sul tema in aula in quel momento: “E’ passato già un mese di tempo per il pregiudicato Berlusconi. La Capigruppo ha adottato la scusa inconsistente del voto palese per ritardare la decisione su Berlusconi. La data del 5 novembre è fin troppo lontana” dice, prima di rivolgersi alla tribuna e dedicare un applauso a Grillo, imitata da vari senatori M5S.

Non si fa attendere la risposta di Pier Ferdinando Casini (Udc): “Le vorrei dire che qui non è prevista la decapitazione: capisco che lei deve fare bella figura con Grillo in tribuna, ma io ho fiducia nel presidente del Senato e nel parere della Giunta”. Il Pd, con Claudio Martini, è invece pronto ad accettare la proposta della Taverna, ma solo dopo che la Giunta per il regolamento si sarà espressa: ciò nel rispetto della procedura consigliata dal presidente del Senato, con la convocazione di una nuova Capigruppo dopo la decisione di Giunta. La maggioranza, in ogni caso, rigetta la calendarizzazione il 5 novembre; più avanti, si vedrà.

NESSUN MARGINE DI INTERVENTO DEL GOVERNO

In questi giorni e anche oggi Sandro Bondi e altri esponenti Pdl come Schifani hanno fatto presente che la delega al governo prevista dalla legge Severino non è ancora scaduta, per cui l’esecutivo potrebbe intervenire anche solo per precisare che le norme sull’incandidabilità non sono retroattive. A Palazzo Chigi, però, l’intenzione è ben diversa e ci si rifà a quanto avvenuto il 2 ottobre, con la fiducia al governo votata anche dal Pdl, accettando dunque la separazione tra la vicenda giudiziaria di Berlusconi e l’azione del governo.

SEGRETO SI’, SEGRETO NO: A CHI CONVIENE?

La battaglia è serrata e ognuno cerca ragioni a favore dell’una o dell’altra tesi, a seconda della convenienza. Un voto palese metterebbe tutti di fronte alla responsabilità nei confronti degli elettori e sarebbe difficile discostarsi dalle indicazioni date dai singoli partiti e gruppi; un voto segreto consentirebbe ai franchi tiratori di esprimersi. E se da tempo accuse incrociate interessano i senatori del Pd e del MoVimento 5 Stelle, che potrebbero “salvare” Berlusconi votando contro la decadenza (per risparmiarlo o per accusare gli altri di averlo salvato), c’è chi come Paolo Naccarato (Gal) è convinto di defezioni nel Pdl al momento del voto.

LE TESI A CONFRONTO

Le tesi che si affrontano sono tutte sorrette da argomenti giuridici che ciascuna parte ritiene validi. Chi sostiene l’ovvietà dello scrutinio segreto (in giunta lo sosterrà Anna Maria Bernini del Pdl) fa leva sul fatto che il Regolamento di Palazzo Madama impone che le votazioni “comunque riguardanti persone” non possano che svolgersi in segreto. Chi invece punta al voto palese ritiene che quello su Berlusconi non sia un voto riguardante una persona, ma sulla regolare composizione dell’assemblea.

Questa interpretazione (sostenuta da Francesco Russo del Pd) verrebbe da una norma del Regolamento della giunta per le Elezioni della Camera, che esclude il voto in materia di verifica del poteri dai voti sulle persone (ma al Senato una norma identica non c’è e qualcuno ritiene che si possa applicare solo alla Giunta e non all’aula); verrebbero in aiuto anche alcuni precedenti (il “caso Andreotti” del 1993 in Senato e un altro caso del 2007 alla Giunta della Camera) che qualificherebbero il voto sulla convalida dell’elezione come valutazione sullo status di un parlamentare.

Il caso del 2007 è significativo: allora era contestata l’elezione di due deputati e Antonio Leone, alla Camera per Forza Italia, disse che lo scrutinio segreto per le “votazioni riguardanti persone” doveva valere anche per il voto per un’elezione contestata. La Giunta per il regolamento il 6 giugno 2007 decise diversamente: un conto è un voto sulle persone, un conto è il voto sulle proposte della Giunta delle elezioni. Esse valutano lo status di un parlamentare (la regolarità dei suoi titoli di ammissione e l’assenza di cause contrarie al mandato) “che incide sulla regolare composizione del plenum della Camera”. Sul punto il Regolamento di verifica dei poteri della Camera è più chiaro, ma non c’è motivo di vedere applicate regole diverse al Senato.

PER IL VOTO SEGRETO BASTANO 20 SENATORI…

Bocciata la proposta di modifica del Regolamento del Senato lanciata dal M5S per abolire il voto segreto, ci sarebbe l’occasione per riscrivere in modo chiaro quelle regole (e magari uniformarle a quelle della Camera). Se passasse l’orientamento del voto palese, però, resterebbe l’obbligo per il Presidente di disporre il voto segreto in aula qualora lo chiedano almeno 20 senatori, come il Regolamento prevede: all’occorrenza quei 20 salterebbero fuori facilmente, ma il Pdl dovrebbe esporsi e fare il gesto plateale di chiedere il voto segreto. Con ciò che ne verrebbe in termini di “pubblicità” negativa e di rischi paventati da Naccarato.

POSIZIONI E DICHIARAZIONI

Chiaramente la battaglia sul voto segreto o palese è anche e soprattutto questione di numeri. Nella Giunta per il regolamento i componenti sono 14, perché lo scrutinio sia palese servono 8 voti (7 a non voler considerare votante il presidente del Senato Pietro Grasso). Il fronte “palese” conterebbe i due esponenti M5S (Maurizio Buccarella e Vincenzo Santangelo), Loredana De Petris di Sel e (salvo ripensamenti) i tre membri del Pd (Anna Finocchiaro, il relatore Francesco Russo e Luigi Zanda). Sosterrebbero con certezza il voto segreto il Pdl (la relatrice Bernini, Donato Bruno, Nitto Palma), la Lega con Roberto Calderoli e probabilmente Mario Ferrara di Gal.

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Risulterebbero determinanti le posizioni di Linda Lanzillotta (Scelta civica) e Karl Zeller (Svp). Lui, a dire il vero, si era già espresso per il voto segreto, mentre l’ex capogruppo di Scelta civica Gianluca Susta Repubblica dichiara che “non c’è stata nessuna riunione per decidere come votare in Giunta, ma penso che alla fine prevarrà l’orientamento per il voto palese”, pur lasciando libertà di valutazione alla collega Lanzillotta. Nel Pd c’è la convinzione che i senatori possano scegliere il voto palese (ma Zeller stamani dichiara: “Mi hanno cancellato il volo, non so se riuscirò ad esserci”) e questo costringerebbe il Pdl a chiedere il voto segreto in aula.

Anche per questo, Renato Schifani (Pd) apre preventivamente il fuoco: ”Sono esterrefatto dalla decisione della giunta del regolamento del Senato di aprire un dibattito sul voto palese su Berlusconi, mentre il principio del voto segreto sulle persone è sempre stato rispettato” dice alla Telefonata di Canale 5. E a chi gli chiede che ne sarà del governo se passa il voto palese, risponde: “Mi auguro che non si arrivi a questo. Del resto anche Anna Finocchiaro del Pd ha ammesso sabato scorso al congresso dell’Anm che quello su Berlusconi è un voto politico”.

renato schifani governo a casa con berlusconi condannato

E se Beppe Grillo ripete che “Noi siamo per il voto assolutamente palese. Noi facciamo quello che diciamo non siamo come loro, basta con questa pantomima. E’ una vergogna il voto segreto”, Stefania Pezzopane del Pd nota: “I berlusconiani punteranno a sovrapporre la discussione della legge di stabilità sul voto sulla decadenza. Non deve accadere, voteremo prima. Per questo non drammatizzerei il voto di oggi su palese o segreto. Che sia voto palese o voto segreto purché si voti. E si stia attenti a non dare a Berlusconi un’ulteriore occasione per atteggiarsi a martire“.

Si è da tempo pronunciato per “non cambiare le regole in corsa”, dunque per lo scrutinio segreto Pier Ferdinando Casini dell’Udc, ma ora interviene sul contenuto del voto in assemblea: “Ho le idee chiarissime e renderemo pubblico il nostro voto al momento opportuno, anche se in aula ci sarà il voto segreto”.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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