Piano Colao, prime reazioni: perché l’idea di innovazione non piace a molti

Pubblicato il 3 Giugno 2020 alle 20:48
Aggiornato il: 24 Giugno 2020 alle 23:32
Autore: Eugenio Galioto

Piano Colao, prime reazioni: perché l’idea di innovazione non piace a molti. Dietro il programma vi sarebbe l’idea di Stato innovatore di Mariana Mazzucato.

immagine figurata dell'industria 4.0
Piano Colao, prime reazioni: perché l’idea di innovazione non piace a molti

Non ha fatto in tempo a circolare la prima bozza del Piano di rilancio per l’Italia di Vittorio Colao diffusa da Milano e Finanza, che blog, social e web magazine già impazzano a commentare, con lodi o disapprovazione, il Piano Colao.

Singolare è il fatto che i quotidiani nazionali non ne parlino, a parte Il Foglio, il cui direttore Claudio Cerasa, questa mattina, ha parlato di “riconciliazione nazionale” e di “occasione” da parte delle opposizioni di partecipare a un rilancio dell’economia nazionale, seguendo per lo più quanto affermato da Silvio Berlusconi in una lettera al Corsera.

Il dibattito riguarda per lo più magazine, siti e blog di agitazione politica che esprimono opinioni partigiane, soprattutto critiche. Vediamone alcune.

Secondo l’Anti-diplomatico si tratterebbe di un “programma eversivo“, perché “sguarnirebbe il paese di protezioni economiche e industriali primarie, senza le quali persino la tenuta democratica è a rischio“. Infatti, si legge sul noto sito anti-establishment, “Leonardo, Fincantieri, Ferrovie dello stato ed altre aziende verrebbero dismesse insieme alla vendita delle riserve auree italiane (tra le maggiori del mondo dopo quelle di Stati Uniti, Germania e FMI) per fare cassa e foraggiare l’industria privata”. “Non è per questo un caso – aggiunge Paolo Degosus dell’Anti-Diplomatico – che, poco dopo la nomina di Colao, la famiglia Agnelli sia tornata alla ribalta intervenendo pesantemente sulla direzione di Repubblica”.

All’Anti-diplomatico ha fatto eco il Sussidiario.net che parla di “smantellamento del sistema industriale italiano e la sua vendita a prezzi di stra-saldo alle imprese più “grandi”, ovviamente in maggioranza europee”. “Si rinuncia – continua Paolo Annoni sul quotidiano economico – a fare quello che si fa nel resto d’Europa proprio con aiuti a fondo perduto e tagli fiscali che sostengano proprio quelle PMI che il nostro Stato vuole evidentemente liquidare in favore di non si capisce cosa”.

Piano Colao, le controversie

Come si diceva, il fatto che la maggior parte dei quotidiani non ne abbiano parlato e non riportino i punti contenuti nella bozza (ad eccezione de Il Foglio) farebbe pensare al fatto che da più parti non si ritenga attendibile il contenuto, in quanto appunto si tratta solamente di una “bozza” non ufficiale che necessita di essere discussa, rielaborata e poi approvata dal Consiglio dei ministri innanzitutto e, in secondo luogo, dal Parlamento.

Pertanto, qualora così fosse, le critiche di eversione, soprattutto per quanto riguarda l’iter democratico, sembrerebbero al momento senza fondamento.

Ma c’è un’altra questione che appare controversa sul Piano Colao e riguarda il ruolo di Mariana Mazzucato all’interno della task force di Colao e come consigliere economico di Palazzo Chigi, di cui abbiamo già parlato.

L’ingresso della Mazzucato nella task force di Colao e nel cerchio magico di Conte ha provocato più d’un mal di pancia negli ambienti vicini a Confindustria, per via dell’idea di “Stato imprenditore” portata avanti dall’esperta; caratteristica, questa, che ha procurato al governo più di una volta critiche di “sovietizzazione” e “collettivismo”.

L’idea dello “Stato innovatore”

C’è da precisare il fatto che molte delle critiche rivolte alla Mazzucato e al governo prendono le mosse da alcune interviste rilasciate dalla Mazzucato, piuttosto che dai contenuti delle proposte espresse sia nei suoi lavori (come “Lo Stato innovatore” e “Il valore di tutto”) sia in occasione della stesura del Piano rilancio di Colao.

In realtà, la proposta della Mazzucato non avrebbe nulla a che fare con lo Stato-piano, la proprietà pubblica dei mezzi di produzione e lo statalismo dei suoi detrattori che parlano di “soviettismo”, bensì con l’idea genuinamente keynesiana di intervento statale in risposta ai “fallimenti del mercato” e con la ridefinizione del concetto di azione pubblica sintetizzabile in cinque punti come segue:

  1. La crescita economica deve seguire un’orientamento politico, una direzione
  2. L’innovazione richiede investimenti (sia pubblici che privati) risk-taking
  3. Lo Stato ha un ruolo centrale in qualità di market-fixer e di market-maker (vale a dire non si limita a fissare le regole del mercato, ma agisce all’interno dello stesso)
  4. Affinché siano efficaci, le politiche pubbliche devono essere la sintesi di obiettivi condivisi tra policy makers e investitori privati
  5. Le mission dei policy makers devono essere condivise e godere del consenso di famiglie e imprese.

Ciò implica, nell’analisi della Mazzucato, l’idea di azione pubblica frutto di una cooperazione tra Stato, cittadini e imprese. Lo Stato innovatore altro non è che un nodo di una rete a potere distribuito che si propone di coordinare differenti attori, settori e risorse.

L’idea di base è che se si delega alle grandi corporations la visione strategica di crescita economica e di società del domani si rischia di affidare al mercato la definizione di obiettivi che sono, invece, collettivi, perché riguardano l’interesse generale di un Paese.

Spetta alla politica, invece, avere una visione strategica e delineare un futuro per la società – innervata, com’è, da interessi diversi e per alcuni aspetti antagonistici e agonistici -, non al mercato. Per questo motivo, lo Stato innovatore e imprenditoriale è quello che si adopera per costruire una rete tra parti sociali e interessi contrapposti e per svolgere un ruolo di coordinamento per affrontare le sfide dell’innovazione.

Se il mercato è composto da operatori privati che tendono a privilegiare le situazioni di rischio e rifuggire quelle di incertezza (ovvero quelle in cui sono sconosciute sia l’esito delle singoli azioni, sia le probabilità che si verifichino taluni fenomeni), lo Stato dovrebbe supplire quest’assenza. Ci si aspetta, in altre parole, che si adoperi per investimenti lungimiranti di ampio respiro e a lungo termine, come ad esempio gli investimenti in ricerca e sviluppo che implicano partnership tra ricercatori, università, laboratori pubblici e imprese, fungendo da collante per gli interessi diversi e in alcuni casi contrapposti per il raggiungimento di interessi pubblici generali.

In questo senso, è lo stesso Stato innovatore a creare nuovi mercati, orientando gli investimenti in situazioni di incertezza. C’è alla base dell’idea della Mazzucato (prima ancora del Piano Colao, su cui al momento è impossibile esprimere considerazioni) il rifiuto della concezione riduzionista del pubblico, per cui stabilirebbe semplicemente le regole del gioco, lasciando al mercato e ai cittadini-consumatori la partita.

Questa visione implica una completa ridefinizione e immaginazione della Pubblica Amministrazione, con lo Stato che agirebbe come “acquirente” di nuove tecnologie (ad es. la banda larga, la digitalizzazione, la riconversione 4.0), il privilegio accordato negli appalti alla capacità d’innovazione da parte delle imprese private e il finanziamento diretto della ricerca di base e applicata.

Non sappiamo con esattezza se il Piano Colao – di cui, ricordiamo, ad oggi è circolata solo una bozza – risenta delle analisi e delle proposte della Mazzucato, ma stante a quanto ribadito più volte dal Presidente Conte nelle sue ultime conferenze stampa o nei suoi interventi in Parlamento, sembrerebbe di sì, almeno per quanto riguarda i ripetuti passaggi sulla necessità di riformare la Pubblica Amministrazione per semplificarne e snellirne la burocrazia, sull’orientamento attivo da parte dello Stato nelle ricapitalizzazioni, favorendo l’innovazione e l’industria 4.0 e, non da ultimo, il primato assegnato alla ricerca universitaria e all’interazione ricerca-sviluppo-impresa, nonché agli investimenti nelle infrastrutture come banda larga e digitalizzazione.

Più che di sovietizzazione o statalismo, dunque, sarebbe più appropriato parlare di ridefinizione di un nuovo equilibrio tra “pubblico” e “privato”, al fine di perseguire obiettivi di modernizzazione e innovazione in contrasto con un capitalismo italiano ancora fortemente caratterizzato da logiche corporativiste, familiste e conservatrici per quanto riguarda le rendite di posizioni acquisite.

Per questo motivo, se il Piano Colao dovesse ricalcare questa prospettiva di Stato innovatore, c’è da attendersi che provocherà più di un mal di pancia tra le holding e i gruppi industriali “gattopardi” del Bel Paese. A giudicare dai malumori dei Benetton (contro i quali parrebbe confermata la revoca della concessioni autostradali) e degli Agnelli queste ostilità sono già in corso.

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L'autore: Eugenio Galioto

Sociologo, un passato da ricercatore sociale e un presente da analista politico. Scrivo principalmente di economia e politica interna. Amo il jazz, ma considero l'improvvisazione qualcosa che solo i virtuosi possono permettersi.
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