Bocciati e ripescati: le decisioni sui simboli dei partiti

Pubblicato il 20 Gennaio 2013 alle 22:32 Autore: Gabriele Maestri

Con le decisioni dell’Ufficio elettorale centrale nazionale la fase relativa ai simboli dei partiti per le ormai prossime elezioni si è definitivamente chiusa. 14 dei 34 contrassegni in un primo tempo ricusati sono stati riammessi dopo la loro sostituzione (spesso consistita in alcuni piccoli interventi), mentre l’organo costituito presso la Corte di cassazione ha respinto tutte le 10 opposizioni presentate dai partiti, confermando di fatto le decisioni del Ministero dell’interno.

Niente da fare, dunque, per i contrassegni del Comitato Monti presidente (per cui Samuele Monti lamentava la propria esclusione a tutto vantaggio dei simboli legati a Mario Monti che per giunta in fila era subito dopo di lui) e per il movimento politico Fratelli d’Italia, di cui è portavoce Maurizio Cammalleri, che si era opposto alla sua ricusazione e all’ammissione di altri (più famosi) Fratelli d’Italia, quelli di Giorgia Meloni, Guido Crosetto e Ignazio La Russa, che secondo Cammalleri avrebbero scorrettamente usurpato il nome di un progetto politico già avviato da tempo.

I simboli ricusati in prima battuta dal Viminale

Nel primo caso i giudici dell’Uecn hanno riconosciuto che l’emblema legato a Samuele Monti era stato presentato al solo scopo di precludere l’uso di un emblema con lo stesso elemento caratterizzante – il cognome – a Mario Monti, il quale aveva già reso noto agli elettori il proprio emblema attraverso i media (lo stesso caso che aveva portato all’esclusione, ancora più clamorosa, dei contrassegni pressoché identici a quelli del MoVimento 5 Stelle e di Rivoluzione civile, che invece sono definitivamente esclusi, in assenza di opposizioni o sostituzioni di simbolo); nel secondo caso, è stata semplicemente applicata la regola prior in tempore potior in iure, poiché Fratelli d’Italia di Meloni è stata depositata per prima, mentre il preuso più o meno locale che effettivamente Cammalleri e altri hanno fatto di Fratelli d’Italia non è bastato a non far scattare il divieto di confondibilità sulla base dell’identità di «parole o effigi costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento anche se in diversa composizione o rappresentazione grafica». La stessa ragione non ha permesso di rientrare in corsa nemmeno al simbolo dell’Unione di centro di Cesare Valentinuzzi: quel contrassegno, in una forma più semplice, era già stato presentato nel 1994, ma il mancato uso per molto tempo non ha permesso di eliminare i problemi di confondibilità con l’Udc di Casini, rappresentata in Parlamento con quel nome e quella sigla.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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