Ecco i primi numeri con l’Italicum di Renzi: maggioranze nette e meno partiti in Aula

Pubblicato il 21 Gennaio 2014 alle 12:14 Autore: Gabriele Maestri

Ecco i primi numeri con l’Italicum di Renzi: maggioranze nette e meno partiti in Aula

Le regole non sono ancora del tutto chiare, soprattutto su alcuni punti, ma qualcuno i conti con l’Italicum renziano ha già provato a farli. Guardando un po’ al passato, un po’ a un ipotetico futuro, prendendo in considerazione gli ultimi dati forniti dai sondaggi. YouTrend e Quorum hanno provato a simulare l’applicazione del sistema elettorale illustrato ieri da Matteo Renzi durante la direzione del Pd, con due soli risultati certi: il quadro politico rappresentato sarebbe profondamente sfoltito e si creerebbe comunque una maggioranza definita.

Il primo tentativo è legato ai risultati del 2013, che ovviamente con un’altra legge elettorale sarebbero stati diversi, ma possono comunque essere indicativi di una tendenza. In ogni caso, nessuna delle forze o coalizioni in gioco aveva superato il 35%, per cui si sarebbe andati sicuramente al ballottaggio tra Italia. Bene comune e il MoVimento 5 Stelle: la vincente tra le due forze avrebbe ottenuto – a seggi invariati – 334 seggi (il 53% del totale), la perdente 136-137 (a seconda degli arrotondamenti). Il centrodestra sarebbe rimasto fuori dal secondo turno, ottenendo comunque 115 seggi, mentre i montiani ne avrebbero ricevuti 44 o 45 (tutti per Scelta civica, visto che la coalizione non aveva preso il 12%). Viste le soglie così alte di sbarramento all’interno delle coalizioni, tutti i seggi guadagnati da ciascun gruppo sarebbero stati assegnati solo alle forze che hanno superato il 5%, dunque Pd e Pdl.

Camera primo piano legge di stabilita

Questi conti però sarebbero debitori del riferimento ai congegni “anti liste civetta”, la cui traduzione in pratica al momento è tutto meno che chiara. Per YouTrend significa che i voti delle liste sotto la soglia del 5% non concorrerebbero al conto totale per l’assegnazione del premio; nell’ipotesi invece che quei voti fossero stati conteggiati comunque a favore della coalizione (dando dunque un altro significato alla frase sulle “liste civetta”), al ballottaggio con il centrosinistra sarebbe andata la coalizione di Berlusconi. In caso di vittoria di Bersani al secondo turno, ai berlusconiani sarebbero andati 132 seggi, ai montiani 48 e al M5S 116; cifre ribaltate in caso di vittoria del Cavaliere (134 seggi al Pd, 115 ai 5 Stelle e 47 a Scelta civica).

Basandosi invece sui sondaggi delle ultime due settimane, non cambierebbe il risultato del ballottaggio, essendo i partiti e le coalizioni comunque lontani da quel 35%. Si andrebbe dunque per forza al secondo turno, cui parteciperebbe sicuramente il centrosinistra, con l’incognita dello sfidante (centrodestra o M5S?); in questo caso, però, sparirebbe dallo scacchiere parlamentare Scelta civica (troppo lontana dalle soglie previste dall’Italicum) e in Parlamento dei due gruppi maggiori entrerebbero solo Pd e Forza Italia.

renzi dopo l'incontro

In particolare, in caso di vittoria del centrosinistra, il Pd avrebbe i soliti 334 seggi (anche qui, senza immaginare la riduzione dei parlamentari), Forza Italia 150 e il MoVimento 146; se prevalesse il centrodestra, il Pd si ridurrebbe a 177 seggi, lasciandone 119 al M5S. Se invece fosse il soggetto politico di Grillo a vincere, i democratici dovrebbero accontentarsi di 175 seggi e Fi di 121.

Ma che succederebbe, invece, se una delle due coalizioni maggiori superasse il 35% (e si contassero anche i voti delle forze minori, soprattutto se superassero il 5%)? Si eviterebbe il secondo turno, attribuendo al gruppo vincitore (il centrosinistra o il centrodestra) un numero di seggi tra 334 e 346 (a seconda dell’ampiezza del premio assegnato), lasciando il M5S come terza forza, con oltre 100 seggi.

 

 

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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